Tra il 1700 e il 1800, una serie di scoperte scientifiche e innovazioni tecnologiche aprirono la strada a quella che oggi conosciamo come industria birraria. Nel 1769 James Watt mise a punto la prima macchina a vapore (nella foto), presto applicata ai mantici dei forni e a moltissimi altri macchinari; mentre nel 1817 Daniel Wheeler fece brevettare una macchina per tostare il malto, aprendo la strada alla produzione precisa di diverse tipologie di malti chiari e scuri. Nel 1843 Karl Josepth Napoleon Balling inventò il saccarometro, che consente di misurare il quantitativo di zucchero nel mosto, passaggio essenziale nella moderna produzione birraria; e nel 1856 Jean-Louis Baudelot mise a punto lo scambiatore per raffreddare il mosto, stabilizzandone immediatamente le caratteristiche prima di passare alla fermentazione.

Ma la figura cruciale per lo sviluppo delle conoscenze scientifiche sulla produzione birraria fu soprattutto il celebre scienziato francese Louis Pasteur (1822-1895); che a metà del secolo, su richiesta proprio di alcuni produttori di birra che non capivano il perché di alcuni problemi nella fermentazione del loro prodotto, iniziò a studiare questo processo. Notò così l’esistenza di “globuli” che si comportavano come esseri viventi microscopici, e a cui venne poi dato il nome di “funghi dello zucchero”: era il lievito, sconosciuto (almeno nell’accezione scientifica del termine) responsabile del processo di fermentazione da ormai migliaia di anni. Averlo scoperto e studiato costituì quindi la chiave per controllarlo, e fare della scelta e gestione dei leviti una questione “scientifica” e non più semplicemente legata alle conoscenze empiriche del birraio o finanche alla casualità.

Gli studi vennero poi proseguiti nella seconda metà del secolo dal danese Emil Christian Hansen, che identificò diverse tipologie di lievito e ne scoprì i principi della propagazione: divenne così possibile selezionare e coltivare i diversi lieviti, cosa che oggi si fa comunemente – alcuni birrifici dispongono di propri ceppi di lievito specifici.

Altre innovazioni arrivarono a stretto giro: su tutte il frigorifero di Carl Paul Von Linde, creato nel 1871 e utilizzato per la prima volta due anni più tardi nella fabbrica triestina di Anton Dreher – ricordiamo che all’epoca Trieste era parte dell’impero austroungarico. Divenne così possibile produrre e conservare la birra, anche quella a bassa fermentazione, indipendentemente dalla temperatura dell’ambiente – superando il tradizionale divieto di brassare nei mesi estivi.

Ultima innovazione degna di nota nella strada verso la moderna industria birraria fu quella nata dall’inglese Harry Brearly, che nel 1913 scoprì che unendo all’acciaio il cromo e il carbonio questo non arrugginiva più: intuizione alla base di quelle che sono oggi le diverse tipologie di acciaio e in particolare l’acciaio inossidabile, di cui sono fatti gli impianti per la produzione della birra (unica eccezione è il rame, tuttora utilizzato in alcuni impianti tradizionali).

 

Ed eccoci arrivati a quella che è l’industria birraria come oggi la conosciamo!

Bibliografia:

– Dispense della Doemens Akademie, “Corso per Biersommelier”